Dopo i nostri precedenti articoli sull'
irezumi (il tatuaggio punitivo giapponese) e sull'
irebokuro (il tatuaggio d'amore), scopriamo finalmente come il tatuaggio è diventato ciò che conosciamo adesso, ovvero
horimono, decorazione volontaria e decorativa, con protagonisti soggetti "nobili" derivanti da arte, leggende, religione e letteratura.
In alcune città del Giappone, a partire dalla seconda metà del XVIII secolo, la popolazione diventa più istruita e acculturata e non manca di voler dimostrare la propria
forza... e quale miglior prova se non quella di sottoporre la propria pelle a una pratica tanto dolorosa quanto emblema di virilità?
Oltre al voler aumentare il proprio prestigio sociale, vi era anche il
narcisismo: il
voler apparire belli e desiderabili, il poter esporre qualcosa di "prezioso" anche quando gli abiti erano di povera manifattura, o mentre si era impegnati in attività lavorative. Era frequente vedere persone che facevano lavori pesanti (come carpentieri, costruttori e manovali) lavorare seminudi, mostrando con fierezza i loro tatuaggi.